Cuore manda in missione la psicologa Antonella Bufano:

 

 

 

 

“E’ quasi ora di pranzo quando arriviamo, dopo un lungo percorso, attraversando campagne ferite dalle acque, ora secche, crepate in superficie. Appare all’orizzonte Conselice e già dà l’idea di un Comune di frontiera.

 Ci avvolgono afa e umidità, sul ciglio sinistro della strada le prime case alluvionate, le persone rimuovono detriti ed oggetti infangati, i primi volti. Lo sguardo di un uomo, velato dalla paura, lento nei movimenti, smarrito, dice che poteva andare peggio.

Procediamo lentamente con il furgone carico di viveri e beni di prima necessità. Ci accoglie, all’ingresso di Conselice, la spettralità, che avvolge le strade, le abitazioni con porte e finestre spalancate, per lasciar che l’aria asciughi pareti e lacrime. Casa per casa si fanno avanti uomini, donne, adolescenti, qualche anziano.

Molti cittadini e cittadine originari dell’Africa, dell’Est Europa, alcuni autoctoni. Sono seri, si limitano a dire, con educazione, che stanno bene, che non ci sono problemi, ma gli sguardi tradiscono altre emozioni, sono difesi, come quello di un adolescente, nervoso, che dice di non aver bisogno di nulla, che “c’è chi sta peggio”, ma il volume della sua emozione è incongruente con il contenuto, lascerà fuori dalla porta il supporto offerto, contro la volontà del padre, che chiedeva affannosamente aiuto, in difficoltà ad esprimersi perché, vittima di paresi.

Procediamo lenti a piedi, casa per casa, fra il fango, le macerie, pochi volontari arrivati da Como, sembra una città abbandonata.

Le donne, più attive nelle pulizie, alcune affaticate ma sorridenti, altre demoralizzate, hanno perso tutto al piano terra, vorrebbero andare via. Nel raccontare si fa strada la disperazione e poi la rabbia per quello che è accaduto, per l’incertezza del futuro.

Difficile vivere con le porte aperte senza servizi igienici, senza frigo, senza nulla, una madre dice che la sua forza sono i suoi figli, li accarezza con lo sguardo uno ad uno con orgoglio, la stanno aiutando assieme al papà, il figlio più grande, quindicenne, ha smontato la sua moto, vuole farla ripartire, come la sua vita, con il vento contro ma con speranza, i suo occhi sorridono.

E poi Umberto, con la sua sedia a rotelle elettrica, si muove in strada, partecipa alla rimozione e pulizia con il suo sorriso, dice che sta bene; poco dopo il suo papà ci racconterà che suo figlio, la sera dell’alluvione, ha temuto di morire, vedeva l’acqua salire inesorabile. Conselice è “rimasta sott’acqua più di 10 gg”, lui e il suo vicino comunicavano dalla finestra per darsi forza a vicenda, separati dalle acque, “peggio che nel Covid”.

Raggiungiamo poi il cortile di una signora anziana, che durante le operazioni di pulizia dei volontari, dice di essere stata derubata di due statuette a cui era legata, è arrabbiata, ne parla con il suo vicino Lahbib, in pausa dal lavoro con gli stivali sporchi di fango, hanno aiutato tanto la signora e suo marito. Il suo bambino dolce nello sguardo e sua figlia sono un balsamo per Paola. Si respira solidarietà fra le persone vittime dell’alluvione, l’acqua, in questo frangente, non ha fatto differenze, non ha guardato in faccia nessuno, ha inondato tutte e tutti senza distinzioni del colore della pelle, della provenienza, dei valori.

Non ha risparmiato le persone nate qui, nè coloro che sono giunti a ripopolare questo fazzoletto di terra in mezzo alla pianura. Molte coppie sono giovani con figli adolescenti. Una madre racconta dei due appartamenti acquistati ed arredati per i suoi giovani figli, hanno perso tutto. Lo sguardo è rassegnato, triste. Non si sentono le voci dei bambini, pare siano al sicuro, altrove.

Il territorio è reso inospitale dal fango, dagli odori nauseabondi, dalle zanzare che non danno tregua.

Una donna ci accoglie con schizzi di fango sul volto, pulisce dal mattino e le sembra di non finire più, si commuove, la rabbia lascia il posto alla frustrazione e poi alla desolazione.

Ci aspetta un vicoletto stretto stretto quello del Consorzio, abitato da Maria Fontana Carmela in cerca di lavoro, da operai italiani emigrati e da cittadini immigrati, condividono tristezza, senso di perdita e di abbandono, ma il gesto di aiuto offerto fa riaffiorare un timido sorriso, c’è speranza. Torneremo.

Un fiume di emozioni: dalla paura mista all’angoscia, alla rabbia, alla frustrazione, alla desolazione; qualcuno fra i più anziani esprime fiducia, “ce la faremo come altre volte, si cade e ci si rimette in piedi” .

I bisogni emersi sono tanti: quelli di base legati alla sopravvivenza, cibo, abiti, scarpe per tornare a pestare il suolo, e poi un posto “asciutto” dove vivere, prodotti per rimuovere il fango, disinfestare, mobili, elettrodomestici da riempire ancora, il sole che asciughi le pareti, “ormai quando inizia a piovere”, dice Omari, “ mi viene il terrore”.

Si è innescato un riflesso condizionato pioggia/paura e angoscia, ne soffrono ormai tante persone alluvionate direttamente e non, così come molti e molte hanno perso il sonno, o si risvegliano precocemente durante la notte, all’ora dell’evacuazione o alle tre.

Sono primi sintomi di una condizione psicologica di profondo stress, che, se non adeguatamente rilevata ed elaborata nei primi giorni, con opportuni interventi di supporto psicologico, può minare la salute psicofisica delle persone, dando origine a traumatizzazioni, che potranno interessare molte fra le comunità colpite dall’alluvione.

Proverbiale in questi giorni l’intervento dell’Ausl Romagna a favore delle persone alluvionate, Il Dott. Giuseppe Angelone, Psicologo Psicoterapeuta, sta coordinando risorse interne e esterne volontarie di Psicologi per i Popoli Emilia Romagna, Psicologi per i Popoli Federazione Nazionale, Sipem Nazionale, Emdr, Croce Rossa. Destinatari sono, non solo le popolazioni alluvionate, ma anche i soccorritori, i volontari del terzo settore, in prima linea sin dalle prime ore dell’emergenza, che hanno dato tutto quello che potevano in termini di forza, resilienza, solidarietà, coesione, affrontando tutte le criticità di un evento inatteso e di proporzioni spaventose.

La forza di chi soccorre è stata, e lo è ancora oggi, la prossimità, stare vicino alla gente, ascoltare ed accogliere incondizionatamente le emozioni espresse, offrire comprensione e supporto.

“Esserci” è stato importante nelle prime ore dell’alluvione, lo è oggi, lo sarà nei prossimi mesi sino a quando tutti e tutte non avranno riconquistato il benessere psicofisico, abitativo ed economico per riprendere, dignitosamente, il cammino su queste strade ferite.

E’ responsabilità di tutti e tutte noi restar loro accanto. “Non piangere, ho percorso la tua ferita per raggiungerti” (Gëzim Hajdari)

Antonella Bufano, in missione per Cuore e territorio

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